mercoledì 23 marzo 2016

Questa brutta versione del circo che sono i talent musicali non hanno rovinato la musica.

Ieri, 22 marzo 2016, in un post sui talent, mi "divertivo" (ma fino ad un certo punto) ad osservare i talent come un diretto sfruttamento industriale di un malessere relazionale della società.

Un disagio che troverebbe certamente altre vie di sfogo, se gli autori dei formati musicali per la tv non fossero giunti a mungere la vacca per primi e a protrarne i benefici effetti economici per così tanti anni. In tutto o quasi il pianeta.

Ma di questo ne ho già scritto, e quanto ho scritto è la mia visione sull'argomento.

Una visione orientativamente condivisa da critici, autori e intellettuali a cui una controparte più riformista contesta l'asservimento alle politiche del servilismo capitalistico o, per meglio dire, la registrazione di un'evidenza delle comunità ammansite dai "media di guardia".


Questa controparte invita a considerare l'ipotesi di una costruzione di offerte di infotainment per una domanda diversamente colta.
Portale di Masterpiece, Rai Tre
Portale di Masterpiece, Rai Tre
Le proposte messe in atto, tipo Masterpiece il talent per la scrittura in Italia, non hanno avuto seguito sebbene il programma abbia dato vita ad un autore/vincitore capace, ad un buon libro e, soprattutto, sebbene fosse un talent prodotto da una rete del servizio pubblico italiano, Rai Tre.

Masterpiece non ha avuto, fino ad oggi seguito.
E questo è accaduto, a mio dire, perché anche Rai Tre, apprezzata per le sue proposte di divulgazione "colta" (Ulisse, Scala Mercalli), per il suo giornalismo di inchiesta (Report, Presa Diretta), per le sue offerte informative per il lavoro, non è riuscita a raccontare il fascino di un progetto letterario in costruzione con l'appeal che gli spettatori dei social media pretendono.

I social media e il fascino della visualizzazione di un evento eccezionale legato ad un personaggio sono il territorio virtuale e la modalità che, da quasi dieci anni, determinano il rinnovo dell'edizione di un formato televisivo.

Là dove c'è bonaccia in termini di share. poca attraibilità sulla piattaforma integrata dei social e poca o nessuna convergenza da parte dell'impresa editoriale, al contrario di quanto accade con SanRemo o appunto i vari The Voice o Amici o XFactor, il "talent di talento" non merita l'interesse  da parte della rete di quel milioncino scarso di spettatori che lo ha tenuto in vita per tre mesi.

Quindi se ne ricava facilmente, da quest'ultima considerazione, che il talent come formula può essere anche vincente sui tanti diversi livelli cui una rete televisiva ricorre per giustificarne l'utilizzo.

Non escluso quello didattico che ho utilizzato in classe, alle medie, per giocarmi in un quadrimestre le carte della memoria storica biografica dei musicisti e del loro repertorio.

http://www.lafabbricadeisuoni.it/
Il talent, per come IO non riesco a giustificarne più la presenza nel panorama mediatico italiano, è un circo vero e proprio, con tutti i suoi numeri classici.
Nel talent televisivo deve trionfare il sensazionalismo che fa fare:" uuuuhhhh!" e "maronn', quant'è bravo/a!" e ancora: "sembra proprio a (segue nome del divetto del momento)".
DEVE perché fa rimanere incollato il pubblico alla televisione, al cellulare che tramite Twitter e Whatsapp scatenano risse vere e proprie tra bande rivali di fan armate fino ai denti.
DEVE perché fa vendere pubblicità a pacchi alle webzine, a You Tube, a Google, a Spotify, a Deezer e così via.
DEVE perché fa girare il business delle edizioni sulle canzoni, del settore della formazione preparatoria alle selezioni, delle piattaforme musicali in streaming del settore.
DEVE ancora perché quel poco che le vecchie case discografiche riescono a fare, lo ricavano dalla partecipazione al business di cui sopra.

Ciò detto, questo sistema interagisce da troppo tempo con un pubblico oggi adulto, un tempo adolescente, formatosi ai ritmi, alle attese e ad una percezione distorta della funzione del repertorio musicale.

E quello che voglio dire è che questa brutta versione del circo che sono i talent musicali, a mio parere, non hanno rovinato la musica.
Almeno non più di quanto l'industria culturale in un secolo e 15 anni di vita non abbia dimostrato di sapere fare, in tante altre stagioni di "musica di plastica".

I talent hanno concorso a confinare la musica ad un ruolo subordinato alla performance visuale.
La canzone eseguita è solo una sorta di segnale enciclopedico delle stagioni storiche a cui fa riferimento.

Red Ronnie
Red Ronnie
In tal senso, Red Ronnie ha ragione nell'associare l'esibizione del concorrente del talent al karaoke, gioco dove conta solo l'effetto collettivo del "come eravamo" al "tempo  delle mele", con tutta la nostalgia di rito.
Cantare con espressione non ha senso al karaoke, anzi crea imbarazzo.
Perché il karaoke democratizza l'inabilità, elevando l'escluso al coro musicale ad eroe dell'"anch'io posso. E me lo merito!".
Esattamente come accade per la massa che vomita intestini e coratelle nei commenti dei social, senza sosta e soprattutto moderazione, ritenendosi, a torto poi, prìncipe dell'opinione a 140 caratteri proprio come i più noti X e Y.

Insomma, il sistema composito dei media è divenuto il terreno sociale in cui, da decenni, valgono altre costituzioni e altre regole, diverse da quelle della collettività al di là del muro della virtualità.

E chissà forse queste regole e i cibernetici signori degli anelli che li abitano sono poco idonee alla salute della Musica come io l'ho conosciuta e la pratico.

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