martedì 27 giugno 2017

"Usa bene le parole", Riky Anelli, 2017

Riky Anelli
Riky Anelli
Ho conosciuto Riky Anelli quando militava ne gli "Isabelle Urla", una formazione del nord Italia, di Bergamo se non erro.
Non mi erano affatto dispiaciuti, avevo intervistato Riccardo nel 2010 quando conducevo con Andrea Cimmino una rubrica dedicata agli artisti emergenti dai microfoni di Radio Prima Rete, una storica emittente della città di Caserta.
Mi ricordo questo cd di esordio con interesse per un giovane cantautore che, pur non rinunciando ad esibire le sue fonti di ispirazione tra le trame delle canzoni, sembrava pronto a spiccare il salto per una prova di affermata autonomia artistica.
Non ho saputo più nulla di Riky Anelli, se non qualche distratta comunicazione tramite i social che me lo restituivano come un musicista fuoriuscito da una formazione forse dissoltasi del tutto, senza la quale stava lì con la sua faccia e il suo nome a rischiare il tutto e per tutto.

 Riky Anelli, "Usa bene le parole"
Riky Anelli, "Usa bene le parole"
Poi mi segnalano questo nuovo cd uscito nel 2017 per la SAAR Records, dal titolo "Usa bene le parole e allora, dopo qualche tempo, finalmente trovo lo spazio per ascoltarlo come si addice a chi chiede rispetto per un invito a prestare attenzione al peso e alla bellezza del lessico con cui ci si affaccia al mondo, artisti o uomini comuni che si sia.
Ho messo le cuffie, il cd nello stereo e, al di là di una breve disamina critica di ogni brano, sono arrivato all'ultima traccia senza essermi minimamente emozionato, senza avere trovato negli espedienti lirici di Anelli, una traccia capace di emanciparlo, dopo sette anni, dal troppo ossequio che lo vincola al ruolo di "allievo preparato", quindi di "mastro di prima categoria" in artigianato cantautorale.
L'album non ha una virgola fuori posto, è stato realizzato senza un grande dispendio di energie, ma è onesto, dal punto di vista produttivo.
Contiene otto tracce di cui sette a firma di Riky Anelli e una, l'ultima nella sequenza, un inedito, se non erro, di Battisti/Mogol.
A firmare la regia in sala di registrazione, lo stesso Anelli e Francesco Matano.
Tutto ciò, secondo la mia sensibilità e il mio punto di vista, non garantisce al lavoro quella identità e quella freschezza che in sette anni di scrittura e di esperienza un autore avrebbe dovuto raggiungere.
Vediamo nel dettaglio il lavoro.
La prima traccia è la canzone che dà il titolo al cd "Usa bene le parole" ed è una sorta di manifesto etico dell'autore sul ruolo che le parole hanno nell'esistenza, l'ho già scritto in apertura.
E' un brano semplice, arrangiato in maniera standard secondo i dettami della folk song.
Quello che io posso aspettarmi, in termini di una minima variazione musicale dopo tre strofe, mi rendo conto che può non avere valore alcuno, ma è un inizio sottotono.
Andiamo avanti.
Secondo brano, "La tristezza passerà". Feeling C&W del più celebrato e apprezzato cantautorato italiano tipo Alex Britti. E' interessante il tema dello spleen da eccesso di ricerca interiore e l'analisi dei suoi effetti emotivi. Tuttavia il sentore di "deja ecoutè" riemerge come caratteristica di un Anelli di tempi addietro.
Con il Tango del Capo e Malanima, Anelli vira verso l'ossequio stilistico alla Capossela dei Cupoloni e le danze popolari con il clichè ritratto della giovane "casta e pura" tradita dai soliti borghesi impiccioni.
Ancora troppo materiale già sentito!


Anche i due brani successivi "L'attitudine" e "Come le nuvole" sono poco più di due decorosi esercizi scolastici.
Dobbiamo arrivare alla settima traccia "Alla maniera di Rubens" per ascoltare una pop song dove trova posto addirittura un moog! La canzone è carina, diretta, da programmare.
Quindi arriviamo ad "Era" di Battisti/Mogol che è un esercizio esemplare di semplicità, di sobrietà.
Una canzoncina acquerello, un gouache senza pretese, a cui non serve una parola in più nè una nota in meno.
E' un pezzo del primissimo Lucio Battisti.

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