mercoledì 8 marzo 2017

Famiglie, smettete di sparare sulla scuola!

All'inizio della settimana, il 6 maggio 2017, è comparso un articolo del Fatto Quotidiano intitolato "Alternanza Scuola-lavoro, la denuncia degli studenti: “Sfruttati per pulire i bagni dei ristoranti e fare volantinaggio” scritto da Alex Corlazzoli, un giornalista con un percorso significativo come maestro e come inviato in aree periferiche delle società emarginate dai centri dove il potere mercantile detta le proprie leggi e le fa applicare incuranti del prossimo.

L'articolo su citato e linkato vi consente di verificare personalmente il senso e l'indirizzo di quanto riportato a partire da alcune denunce di un gruppo di studenti pugliesi vittime di un uso scorretto dello strumento formativo dello "stage" da parte dei titolari delle imprese che li avevano accolti .

Lo stage di cui scrivo e di cui parla Corlazzoli è quella fase obbligatoria del progetto "Buona Scuola" del governo Renzi con cui gli studenti delle scuole professionali e dei licei italiani danno vita al progetto di "alternanza scuola-lavoro".


Traggo ispirazione da questo intervento del maestro Corlazzoli a cui ha fatto seguito un mio post dettato dall'istinto di chi ha letto nelle lamentele di questi studenti la scusa per non volere imparare nulla dall'esperienza, foss'anche il "pulire i cessi" di un ristorante o l'archiviare i manifesti di un cinema.

Vivendo con me stesso, mi rendo conto che talune inattese "espressioni di pancia" da parte di un uomo conosciuto per la sua pacatezza e autocontrollo nei rapporti pubblici, possono lasciare il segno.

Ciò detto, mi preme cercare un tentativo per contestualizzare il senso di quanto ha suggerito il giornalista rispetto a voci, punti di vista e complessità che forse, dico FORSE, avrebbero dovuto almeno esser citate in attesa di un secondo intervento di indagine volto ad osservare la realtà di questo tipo di stage, della sua obbligatorietà, di come le scuole lo gestiscono e di come il territorio economico può recepirlo.

Premetto che quanto suggerisco sono supposizioni basate sulla esperienza mia e di mia moglie, e dei tanti professori che tra parenti e amici hanno alimentato la percezione del "fare scuola" giunta al suo grado più basso durante il ventennio berlusconiano che equiparò l'istituzione scolastica alle necessità di un'azienda, obbligando i dirigenti scolastici cioè i vecchi presidi a prostituire l'insegnamento ad una miserabile sceneggiata di mercanteggio concorrenziale tra istituti a suon di progetti, laboratori e promesse di ogni genere e tipo pur di non perdere iscrizioni, cercando, nel contempo, di ottenerne ogni anno un numero in costante crescita.

Questa impostazione ha ulteriormente indebolito il ruolo della scuola pubblica, degli insegnanti e della loro autorevolezza sociale, incarognendo genitori e alunni che come niente gettano discredito su strutture e professionisti a cui è chiesto di tutto, con sempre meno risorse economiche e know how per gestire le nuove richieste con dovute competenze.

Come se non fossero bastati i tagli selvaggi praticati alla Pubblica Istruzione da parte dei Ministri del Governo del Presidente, giunge nel 2015 anche questa cosiddetta riforma detta della "Buona Scuola" corredata di finalità e obiettivi confusi dal fumo delle troppe parole.

Così anche questa "Alternanza Scuola Impresa" sotto forma di uno stage di 400 ore per gli istituti professionali e 200 ore per i licei viene presentata dal MIUR come una straordinaria opportunità per avvicinare gli studenti del triennio alle logiche del mondo del lavoro.

La mia critica ai contenuti redatti per presentare l'iniziativa consiste nel fatto che mentre si sottolinea che mai questo stage potrà essere scambiato per una prestazione di lavoro (come se ce ne fosse stato bisogno) dall'altra si invoca la volontà di progettarlo con la massima creatività per favorire una pratica di scambio tra finalità di studio ed esigenze del mercato, dell'economia.

Io sostengo che, per giungere a formulare uno stage qualificato, il sistema economico/imprenditoriale dovrebbe innanzitutto stabilire un rapporto solido di dialogo e di confidenza con le scuole del territorio, da cui fare scaturire richieste, stimoli e interessi condivisi per i progetti degli stage.

E' assolutamente probabile che, come accade in tutta Europa, lo stage per gli studenti degli ultimi tre anni dei professionali sia uno strumento per sondare le attitudini dei futuri lavoratori, per portare in azienda qualche suggerimento utile all'aggiornamento della produzione e così via.

Il problema invece sorge proprio quando in mancanza di questo lavoro pregresso, i docenti assegnati alla stesura dei progetti per conto degli studenti lo fanno scarsamente motivati, senza know how specifico e senza riuscire a trovare sul territorio le risorse economiche adeguate alle necessità di stage.

Perché poi bisogna anche pensare che non tutti i territori godono della medesima salute imprenditoriale. Quando le aziende sono poche, e sono ancor meno quelle realmente qualificate la realtà cozza contro l'intransigenza della burocrazia che esige tot stage all'anno.

E' a questo punto che per risolversi l'ennesima gabella ministeriale a pagarla sono i ragazzi.

Ma il problema non è certo lo strumento dello stage, ma un processo, una filiera educativa pubblica che non trova la volontà e le occasioni per dialogare e comprendersi dinanzi alle diverse complessità dei territori della penisola.

Io non voglio in alcun modo giustificare un mal governo locale, assolutamente.

Ma invoco il "cessate il fuoco" immediato tra famiglie e scuole, qualunque cosa accada!

Per chiudere il post, io avrei voluto saperne di più sui contenuti di questi progetti di stage, quali erano le aziende contattate e quali erano i patti di formazione.

Mauro Boccuni

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