mercoledì 16 maggio 2018

“3+3 - 6 occasioni per un incontro d'autore" - Intervista con Luca Swanz Andriolo, Maggio 2018


Luca Swanz Andriolo dei Dead Cat in a Bag
Luca Swanz Andriolo dei Dead Cat in a Bag
Il 18 maggio 2018 esce il terzo lavoro del progetto musicale di Luca Swanz Andriolo, i Dead Cat in a Bag, dal titolo "Sad Dolls and Furious Flowers


Ho rivolto a Luca, che è compositore/autore, cantante, musicista ed attore, le tre domande di questo mio formato dal titolo “3+3 - 6 occasioni per un incontro d'autore" con cui cerco di rivelarvi uno o due aspetti chiave del protagonista dell'intervista

Vi ricordo che le prime "3 occasioni" sono tre risposte che l'autore ha dato ad altrettante mie domande.

Le seconde "3 occasioni" sono tre tracce musicali, scelte dall'autore, per presentarsi al lettore di internet che volesse approfondire la visione artistica del musicista.



Occasione n° 1

1/3 Mauro Boccuni (MB): caro Luca, riuscire a gestire la profondità e anche la tua complessità umana in tre domande, non è semplice.
Soprattutto per chi non ha il privilegio di conoscerti, come me e tutti gli amici che ti frequentano de visu e online.

Quindi, voglio usare questa breve intervista, queste 6 occasioni per portarti nuovi ascoltatori o ammiratori, che dir si voglia.
Dead Cat in Bag, "Sad Dolls and Furious Flowers", 2018
Dead Cat in Bag, "Sad Dolls and Furious Flowers", 2018

Parto con il dirti che il tuo ultimo lavoro di prossima pubblicazione ( 20 maggio) "Sad Dolls and Furious Flowers" mi ha tenuto curioso ed entusiasta al suo ascolto, in cuffia, per tutta la durata dello spettacolo.

Una produzione matura, ricca di dettagli, nello spirito della teatralità dark dei Dead Cat In A Bag, ma, come dire meno cupa, più chiaroscurale, più "floreale" sebbene siano fiori colti sempre dal vostro amato giardino del Male :). Di vivere.

E' una mia sensazione? Offrici qualche spunto sul processo di scrittura che ti/vi ha portato fino alla pubblicazione.

1/3 Luca Andriolo (LA): in verità volevamo - quasi programmaticamente - fare un disco più aperto, perché la cupezza quasi compiaciuta di Lost Bags e l'umore funebre di alcune parti di Late For A Song, dovuto anche a un lutto grave che mi è (o mi ha) toccato durante la registrazione, ci sembravano visioni parziali della complessità dell'esistenza. 

Poi, però, non sono mancati i momenti comunque dolorosi, ma questo ha riguardato più alcune esecuzioni che non la scrittura. 

La domanda a cui tenta di rispondere l'album è contenuta in Mexican Skeletons: how can people manage to face the day? La canzone parla del primo mattino, di quella paura latente del giorno a venire... le stesse paure, comuni e inevitabili, descritte in The Voice You Shouldn't Hear, che racconta praticamente un attacco di panico. 

La risposta è l'ultima strofa di Skeletons, forse: when you are not scared to death, in the end, it's quite fun
È una frase riferita a una stampa raffigurante calavere messicane... una sorta di esorcismo, quindi. 
Ma tutto il percorso comprende anche i luoghi oscuri di The Place You Shouldn't Go, le lamentele da bar di Thirsty (here I am, one more time, coming to terms with the night), le promesse della sera che la notte non può mantenere, le promesse che ci facciamo per illuderci e che sappiamo essere destinate al fallimento (Not a promise parla proprio di questo, e lo fa quasi solo con la musica). 

Insomma, l'illusione, la speranza, la bellezza, l'amore. 
Le bambole tristi e i fiori furiosi del titolo racchiudono proprio tutto questo. 
Volevo che l'album non fosse una sorta di diario personale, anche perché non ho una vita particolarmente interessante, ma il più possibile legato a temi universali. 

C'è anche l'amore, anche se purtroppo mal riposto. 
Ho attinto sia da Shakespeare che da Borges, per i testi, ma nell'insieme si tratta comunque di canzoni folk con un tipo di linguaggio abbastanza terreno. 

Musicalmente, è un viaggio tanto ampio da sfociare quasi nella World Music. 
C'è Francia, America, Messico, Balcani e anche luoghi indefinibili: in questo, abbiamo solo portato alle estreme conseguenze il percorso già iniziato. 

La differenza principale è data, credo, dal fatto che è tutto molto più "suonato", c'è una batteria vera e non un semplice stomp, e tantissimi ospiti che hanno ricamato le composizioni. 
Forse abbiamo anche avuto una piccola tentazione verso una fruizione più semplice e immediata. Ma potrei ritrattare tra un minuto. 

La suggestione che potrei proporre - visto che si tratta di uno dei poeti preferiti, di un vitalista sfrenato e insieme amaro e considerato anche che nel disco abbiamo incluso una canzone in francese - è la versione musicale di Serge Reggiani di Je Voudrais Pas Crever di Boris Vian. Una delle mie poesie preferite di tutta la vita. E ci sono anche i "cani neri del Messico che dormono senza sognare"!


Occasione n° 2

2/3 Mauro Boccuni (MB): Che piacere è ascoltarti/leggerti! 

Nelle parole della tua risposta, si apprezza la tua natura di gentiluomo colto, refrattario alle convenzioni del "benpensare" culturale e, quindi, anche musicale. 

Voglio dirti che mentre dialogavamo, mia figlia Francesca ascoltava "The voice you shouldn't hear", le è piaciuto e lo ha definito una forma di "metal folk", ma più piacevole perché privo di tutto quel "rombare" di chitarre. E io ho aggiunto che poteva essere un "kletzer metal folk" :)

E veniamo ad un tema associato all'arte musicale, cioè il suo ruolo nella società dei primi decenni del terzo millennio.

La società dei millenial che sembra avere trasferito i propri neuroni nella memoria dei device portatili :) 

Quale impatto ha la prospettiva della conversazione social, dell'opinionismo di massa sulla tua identità di artista?

2/3 Luca Andriolo (LA): forse il metal è l'unico genere che non ho mai frequentato, insieme al rap, ma The voice... sì, ha qualcosa di post industrial, insieme al folk (in questo caso arabeggiante) e la base è addirittura derivata dalla dub-step! 

Ah, ma io ho parlato più della musica di massa sulle piattaforme di condivisione! aspetta che faccio un preambolo: nella mia vita, internet è importante e mi mette in contatto con persone lontane che sento prossime. 
Direi quasi fondamentale, anche a livello di promozione, sebbene poi i meccanismi della viralità siano altri.

Quanto alla tua domanda, non so bene rispondere: non sono un mass-mediologo e temo molto di cadere tanto dalla parte dei vecchi reazionari che dei giovani entusiasti e vacui. 

Peggio di loro ci sono solo i vecchi revisionisti del presente, quelli che dicono che tanto c'è il gap generazionale e quindi qualunque balbettamento modaiolo avrebbe, in virtù del fastidio che provoca alla generazione prima, lo stesso valore di rottura del punk o - perché no? - del bebop o della dodecafonia. 

Di fatto i mezzi evolvono, il linguaggio muta e i contenuti leggeri anche. Quelli profondi, a mio parere, restano gli stessi e non c'è bisogno che un'opera di comunicazione (o d'arte, nel migliore dei casi) enumeri luoghi comuni del presente, per parlare un linguaggio comprensibile e necessario. 

Robert Johnson
Robert Johnson
Io mi sento raccontato da Robert Johnson anche se non parla dell'Ikea o del precariato, ad esempio, perché i temi universali non devono per forza avere il vestito nuovo. 

Ciò non significa essere ciechi rispetto al presente o nostalgici, o peggio ancora passatisti. 

E nemmeno suonare blues rurale. 

Basta pensare che parlare della pizza non è più universale rispetto a "all of my fond love, I blow to heaven, tis gone" (che viene dall'Otello ed è nel testo di The Clouds, credo uno dei brani più... sì, tristi e sinceri del disco, ispirato a Cosa sono le nuvole di Modugno).

Poi Carver parlava di un frigorifero, di una marca di whiskey e il suo linguaggio era esattamente quello di una società, di un periodo storico, di una quotidianità... ma la sua scrittura arriva anche a me e dura ancora oggi.

Ma non farmi passare per intellettuale o per vecchio trombone!

Credo che le cose degne esistano e saranno quelle in grado di sopravvivere alla moda.

E anche che il cambiamento non ci deve spaventare.

Non parliamo di crisi di valori, che solo il secolo scorso abbiamo avuto due guerre mondiali! Io credo che le nuove possibilità di comunicazione siano una cosa positiva, in fin dei conti.


Occasione n° 3

3/3 Mauro Boccuni (MB): tu sei un uomo e una persona autentica, sei una differenza umana che si esprime in tutte le tue manifestazioni, con eccesso di realismo da sfiorare, talvolta, il cinismo, ma senza mai rinunciare a cantare, recitare per l'ultimo della fila.  

Ecco perché chi ci sta leggendo ti deve seguire sui social, ti deve conoscere musicalmente e non solo.

Oltre alla tua autenticità, che si oppone all'omologazione dei luoghi dove l'arte diventa mercimonio, è emersa anche l'ombra di Pasolini nelle tue parole di sopra.
Pasolini ha combattuto una lunga estenuante battaglia politica attraverso la sua arte, in difesa dei valori che il consumismo avrebbe annientato dagli anni sessanta in poi. 

A me interessa sottolineare che Pasolini e i tanti altri intellettuali del tempo presumevano un pubblico a cui rivolgersi con le loro proposte e le loro agitazioni.

I nostri tempi sono diversamente magri e tanta produzione indipendente rasenta l'autoreferenzialità fino alla negazione dell'interlocutore.

Nel tuo caso, come abbiamo letto, l'interazione con le culture, i popoli e le tue reti di contatti social rivelano che cerchi l'altro e lo rendi parte della tua produzione.

Cosa diresti a questi "musicisti da cameretta" che affollano le discariche della musica inevasa per eccesso di produzione?


3/3 Luca Andriolo (LA): Non credo di poter dispensare consigli. 

Siamo tutti musicisti e intellettuali da cameretta, che si affacciano alla ribalta di questa esposizione mediatica che ha filtri diversi che in passato. 
Non capisco i meccanismi della viralità. Posso dire solo che in un'opera d'arte non cerco né il bello, né il nuovo, né il vero, ma l'autentico, che quasi sempre li comprende tutti. 

E come ultimo video propongo, in modo davvero autoreferenziale (non si scappa, eh?), quello che Andrea Bertola e sua moglie Elena Biringhelli hanno realizzato spontaneamente ed indipendentemente da me, anche se mi coinvolge come comparsa, e che mi ha emozionato come un'opera d'arte a sé stante, anche slegata dalla canzone... certo, la storia la sento mia, ma parlare di perdita, di percorso, di tristezza e rassegnazione, di consapevolezza e fantasmi, con una tecnica atavica come il gesso su lavagna (e con l'uso sacrosanto della tecnologia) mi pare un'operazione degne e meritevole della mia riconoscenza quanto dell'attenzione che posso in qualche modo procurare. 

Spero anche che la canzone vi piaccia, ovviamente.

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