lunedì 6 febbraio 2017

“Shoefiti”, Francesco Boni, 2016

Francesco Boni
Francesco Boni
Francesco Boni è un musicista, un compositore, un produttore di Ferrara che grazie alle sue abilità e al suo talento ha compiuto un lungo percorso che lo ha portato a perfezionare l’uso del basso elettrico e del contrabbasso, gli strumenti con cui si identifica e grazie ai quali ha suonato in organici tra i più diversi e ha collezionato una esperienza artistica varia per generi e stili.

Ci siamo conosciuti tramite chat, lui mi ha contattato chiedendo di ascoltare questo suo lavoro “Shoefiti” edito l’anno passato e pubblicato per lo streaming sulla webzine musicale “Rock.It”.
Ho ascoltato con piacere il lavoro e ve ne riporto le impressioni, attraverso le note che ho trascritto nel corso degli ascolti.

Il cd consta di quindici pezzi tra strumentali e un paio di canzoni e sembra suddiviso in due parti, come fossero i tempi di una ideale proiezione di musica per immagini in attesa di shooting. Partiamo dunque!


“Shoefiti”, Francesco Boni, 2016
“Shoefiti”, Francesco Boni, 2016
I primi tre pezzi, molto brevi, sembrano una introduzione alla prima parte, una  sorta di fingerfood “to go” (Ricordate il cibo per l’anima per partire dei Manhattan Transfer su musica di Javan?) a guisa di aperitivo per stuzzicare l’interesse e poi ecco che hanno inizio le danze vere e proprie, accompagnate da quattro brani intensi e in sequenza,“Clouds”, “Promenade...Shoefiti”, “Jewel” e “Fast food”.

In “Clouds”  il pianoforte e il basso ritraggono un paesaggio dal sapore esotico di grande fascino, “Promenade...Shoefiti”  sembra proseguire la strada di Clouds in una ouverture, “Jewel”  si muove tra atmosfere arabe al tramonto, sul suono sognante di una chitarra classica sormontata da effetti e percussioni. Efficace l’intermezzo dove basso e clarinetto ballano un passo doppio per poi lasciarsi a favore del clarinetto. Poi chitarra e voce. Poi di nuovo clarinetto che riprende il tema iniziale, doppiato dal basso. Un pezzo raffinato .

In “Fast food”  si sente tanto progressive funky jazz rock. Vengono in mente i Chicago della prima ora, gli artisti della GRP e le atmosfere metropolitane per i ritmi pulsanti, ossessivi e er le associazioni a cui ci ha abituato il cinema.


Quindi ecco un interludio dal titolo ”Velvet” che sembra una pausa dopo i tre brani più corposi di prima. Il tema è eccellente, l’esecuzione e l’idea anche.

La seconda parte, o meglio quella che a me sembra essere tale,  ha inizio con una sequenza di sette brani.
“T-blues” un carioca jazz mood appoggiato ad un tema suonato dal sax tenore. Il basso ha un ruolo interessante nel disco. Segue “Swing on the moon” con atmosfere alla Art of Noise, private di quello spirito dance metronimico. Bello il piano, il suono molto ampio, possente. Buona la ritmica. Quindi “Arpeggios” con basso e flauto, un pezzo mid tempo dal sapore orchestrale rock, due belle chitarre aperte in stereo, basso pulsante e sempre presente, un assolo di flauto, poi la chitarra, insomma gli strumenti “Regine” di certo prog anni ‘70

Seguono due pezzi che mi sono parsi ottimi per illustrare un clima poliziesco/noir.
Sono “Gypsy Queen” e “Purple”

Un’introduzione di chitarra e flauto il primo pezzo , il tema affidato al flauto poi tutta la ritmica in mid tempo. Quindi entra la chitarra semi acustica
Introduzione alla tastiera il secondo, basso pulsante e inquietante, apre assolo al sax tenore, tempo medio, Alternanza chitarra e basso

Chiude l’album “Moving” con una introduzione di basso su una programmazione elettronica in loop, credo anche il basso. Il basso suona il tema, ci sono chitarre che emergono in sottofondo.

Una conclusione degna per un progetto che premia la versatilità compositiva di Francesco Boni, anche se mi sembra che l’album rispecchi un approccio all'uso di situazioni musicali eseguite con il pieno rispetto e padronanza per il genere, lo stile e le suggestioni evocate senza riuscire però a concedersi gli spazi necessari per evolvere le potenzialità al di là di una struttura precostituito.

Tutto rimane confinato nell'esercizio di un buon saggio professionale, senza dimostrare il coraggio che invece alcuni evidenti segnali avrebbero dovuto esigere dai musicisti.

Sono certo che non mancheranno le occasioni all'autore per evitare di disperdere le energie in troppi rivoli tematici e concentrasi di più sulla profondità espressiva della sua piccola orchestra a cui vanno i complimenti.

Mauro Boccuni

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