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I tipici azulejo portoghesi sui palazzi delle città |
Ho voluto ricordare, nel precedente post, il fascino del popolo lisbonese e di altre zone visitate o meglio di quelle sensazioni epidermiche che emergono spontanee e comuni nei contatti che nel viaggio si stabiliscono con i ristoratori, i baristi, il personale degli alberghi, i tassisti, eventuali tutori dell'ordine, guidatori di autobus, personale nelle aree di servizio e gente per la strada.
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Il monastero dei Geronimi, Belem, Lisbona |
Un turista è soggetto alle scelte dei pacchetti di visita, contingentato dai tempi di "carico" e "scarico" da un mezzo di trasporto, di centinaia di simili su due gambe, intruppati in greggi carichi di denaro, di macchine fotografiche, dentiere scintillanti e uniformi per tutte le stagioni.
Un Turista è, per antonomasia, l'emblema della passività, dell'indolenza, del consumatore di iconografia ambientale opposta alla anarchica curiosità del Viaggiatore, desideroso di "uscire dai binari" per penetrare con personalità modi e sensi dell'esistenza dei popoli altri e delle loro culture.
A questo proposito mi ricordo di un improvviso scatto di nervi da parte di Joni Mitchell che, se non erro, al festival dell'isola di Wight nel 1970 chiese retoricamente al rumoroso pubblico che accompagnava la sua esibizione, se si consideravano turisti o viaggiatori di quell'evento.
Il pericolo di vivere il viaggio come se i territori fossero l'ennesimo videogioco interattivo da stuprare senza sosta, con la possibilità di ricaricare la giocata a piacere, obbligando gli indigeni a fare la loro parte solo perché esiste il denaro, sarebbe un'opzione orribile.
Eppure molte zone e spazi di ogni nazione e di ogni città del mondo si stanno adeguando a quella che con un eufemismo potremmo definire una spersonalizzazione per adattare abitudini e culture a quelle di chi è ospite, in realtà padrone.
Questo pericolo è sempre dietro l'angolo quando le orde di turisti vomitano per le strade i loro bipedi carichi di energia, di flash e degli "Oohh!" di meraviglia con cui appesantiscono la vita di chi lavora sul luogo, per loro o di chi li sfiora per le strade o nei musei, orripilato dal deserto che lasciano dietro di sè o dalle pessime scene di volgarità a cui possono dare vita.
Mi ricordo anni fa a Napoli, in una pizzeria di via Caracciolo.
Era febbraio e una allegra combriccola di turisti orientali incurante dello strazio procurato al proprio corpo, ordinarono e si tracannarono spaghetti con i frutti di mare, la pizza, babà, pastiera e, per sturare il lavandino o farlo eruttare (fate voi), un bel cappuccino !
Se non è una forma di stupro questo!
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Immagine tratta da www.myfashionstyleworld.com |
Viaggiare significa prepararsi, conoscere e imparare con umiltà senza osservare la realtà circostante come se il prossimo fosse in un museo, dietro ad una ipotetica teca o in un acquario o uno zoo umano!
Alla prossima
Mauro Boccuni
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