lunedì 27 aprile 2015

"Mia madre", Nanni Moretti - 2015

Mia Madre Nanni Moretti Margherita Buy Mauro Boccuni
Ieri sera, domenica, 26 aprile 2015, ho visto con mia moglie "Mia madre" di Nanni Moretti.

Poco prima che accendessero le luci in sala, tra l'altro in un momento delicato per le emozioni di chi ha pagato il biglietto e in quel momento sta vivendo un transfert quasi onirico con la magia di qualunque racconto cinematografico, dicevo poco prima che ci risvegliassero brutalmente in questo brutto cinemaccio di periferia, io e mio moglie ci eravamo voltati l'uno nell'altra, ritrovandoci in lacrime o meglio visibilmente emozionati.

Sì, palesemente emozionati, in un certo senso traumatizzati da una narrazione che non mi permette di pensare che "Mia madre" possa essere un bel film.

Ma un BUON film certamente sì.


Giulia lazzarini e Margherita Buy ne "Mia madre" di Nanni Moretti
Giulia lazzarini e Margherita Buy ne "Mia madre" di Nanni Moretti
Ed è un buon film, a mio parere, perché la madre o meglio la relazione con un legame terreno dalle radici inestirpabili pur essendo una narrazione con ovvi connotati autobiografici per l'autore, è soprattutto un pretesto per un ragionamento sulla dimensione identitaria di un uomo, del suo ruolo di regista, dei suoi legami come "Madre" putativa di un team produttivo, della sua dipendenza da una inevitabilità esistenziale e del rapporto che queste condizioni instaurano con il pericolo, ad esempio, di una morte prematura in vita, di una dissoluzione nel mito di sè stessi, nelle proprie ossessioni irrisolte, del gioco al rilancio pubblico di un consenso sui luoghi comuni che affollano le aspettative delle celebrazioni di ogni nuova uscita di un cineasta.

Margherita, il nome della regista in cui Nanni Moretti sì è voluto in qualche maniera "incarnare", è LA "regista tipo" vittima di un processo, quello della fuga dalla realtà fisica nella realtà della narrazione, che accomuna ogni artista al suo destino, alla sua gabbia dorata di essere umano appagato dal dominio/controllo di una vita fisicamente intesa che di fatto o diventa oggetto di indagine o la subisci come attore di un film girato da qualcun altro.

Posto in questa dimensione dialettica, a cui tra l'altro Moretti ci ha abituato da tempo, il film svolge il suo percorso con la solita efficacia del regista.



Ma per la prima volta, si avverte una pacatezza quasi bergmaniana, un bisogno di "stare dietro" l'enfasi del tono per lasciare spazio al racconto di un dolore umano che la regista Margherita non riesce ad ignorare affatto.

Un dolore che, nel corso del film, rende tutti i rapporti sempre più stretti, quasi oppressivi, ma al tempo stesso caldi, necessari, terapeutici e catartici.

Margherita ha accanto un fratello interpretato magistralmente dal regista stesso a cui gli sceneggiatori hanno dato il compito di sostenere il ruolo che l'uomo Nanni Moretti, pare, non abbia potuto svolgere mentre durante le riprese di "Habemus papam" sua madre stava morendo.

Ma questi aneddoti privati hanno poco significato nell'efficacia del film.

Margherita Buy ci restituisce la figura di una regista imbarazzata e decisamente esausta dalla fama che la circonda.

John Turturro nel ruolo dell'attore cinematografico
John Turturro nel ruolo dell'attore cinematografico
John Turturro è sublime nel suo avere accettato la parte di un attore al termine della sua carriera, altrettanto estraneo al rumore assordante della finzione cinematografica.

La madre è interpretata da una Giulia Lazzarini, mai sopra le righe.

Mauro Boccuni

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